giovedì 13 agosto 2015

Volontari nell'esercito e nella CRI: la lettera di Salandra e gli aiuti.



Popolazione in armi e nella CRI
Fin dai primi giorni di guerra giunsero alla Croce Rossa numerose offerte di aiuto da parte di donne e uomini che volevano contribuire allo sforzo bellico, pur non trovandosi al fronte.
L’“arruolamento” come volontari della Croce Rossa era, però, possibile solo per coloro che avevano effettuato un corso di medicazione e disinfezione con relativo diploma, corso che a Biella non poté essere tenuto nel periodo prebellico. Ciò rese necessario rimandare a tempo indeterminato l’effettiva collaborazione della popolazione civile con la CRI.
Si comunicava, inoltre, che le autorità militari avevano individuato immediatamente i Santuari di Oropa, Graglia e San Giovanni d’Andorno, unitamente ad alcuni edifici cittadini, come possibili ricoveri e futuri ospedali militari, cosa da lì a poco avverrà per il seminario vescovile di Biella (oggetto di un futuro nostro articolo).
Naturalmente, oltre ad offrire strutture adeguate, Biella auspicava di poter offrire un corpo di infermieri, anche per non trovarsi “in una deplorevole inferiorità di fronte ad altre regioni”.
È davvero rimarchevole come l’intera popolazione civile si sentisse spinta, fin dai primi giorni di guerra, ad aiutare il Paese coinvolto nello sforzo bellico, in ogni modo possibile, anche con intenti di solidarietà e non solo con l’effettiva partecipazione alle azioni militari.
La lettera di Salandra
Proprio il gran numero di volontari che si riversarono nei centri di arruolamento spinse il 29 maggio il Presidente del Consiglio Salandra a scrivere una lettera indirizzata alla popolazione tutta, la quale affermava che al momento non erano richieste, e auspicava non fossero necessarie neanche in futuro, nuove leve supplementari a quelle di legge.
Salandra non si limitò a parlare della mobilitazione militare, ma incluse nella sua lettera anche l’assistenza alle famiglie dei soldati, invitando alla formazione di Comitati locali che provvedessero all’aiuto dei bisognosi, ricordando che “NESSUN CITTADINO CHE PUO’ DARE QUALCHE SOCCORSO DI DENARO, DI OGGETTI, DI OPERA, VI SI DEVE RIFIUTARE”.
Aiuti finanziari e materiali
Proprio in quest’ottica vanno visti i numerosi aiuti che gli industriali biellesi elargirono alle famiglie dei propri operai richiamati alle armi; analoga manifestazione di solidarietà da parte di donne e uomini, che non avrebbero avuto un diretto coinvolgimento bellico, fu la spontanea offerta della propria opera come crocerossine o infermieri.
Parallelamente, in quasi tutti i comuni si costituirono Comitati Pro famiglie bisognose dei richiamati per portare aiuti alle famiglie il cui “capo di casa” era sotto le armi, non solamente raccogliendo denaro, ma provvedendo anche alla fornitura di biancheria, indumenti, ecc. A queste spontanee donazioni si aggiunsero in alcuni casi anche azioni di aiuto intraprese dalle stesse amministrazioni comunali.

da il Biellese del 9 giugno 2015

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