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martedì 14 giugno 2016

Buone nuove dal soldato Felice Zampini

Durante il settembre del 1915 la città di Vercelli e il giornale La Sesia si erano interessati alla storia di un soldato romano, giunto nel vercellese per essere ricoverato all'ospedale militare per le ferite riportate in battaglia.


Il suo nome era Felice Zampini, giovane militare reduce già dalla guerra in Libia e che aveva subito l’amputazione di entrambe le mani a seguito dello scoppio di una bomba austriaca al fronte. La situazione dello Zampini porta a lui molte simpatie dalla cittadinanza, che grazie al giornale La Sesia decide di aprire una sottoscrizione a suo favore e nel giro di qualche giorno vengono raccolte 1.500 lire, che permettono ai medici di acquistare e installare due protesi che possano aiutare il soldato nella vita civile. A mesi di distanza il giornale torna a dare notizie sulla sorte di Felice Zampini e sulla sua sorte. «Abbiamo, un giorno, pubblicato un ritratto dello Zampini coi due moncherini – spiega il giornale ai suoi lettori -; ne pubblichiamo oggi un altro, dove il bravo soldato è fotografato con le mani artificiali che gli tengono il posto di quelle sfracellate dalla  bomba nemica ed amputate» (La Sesia, 31 marzo '16).  La foto ritrae il soldato Zampini con in mano una bottiglia di vino e nell'altra il bicchiere. Questa è una cosa che sorprende il giornale visto che «tutti sanno come la mano negli antichi apparecchi non serva che per figura – anzi per alcuni l’apparecchio – è più un ingombro che un’utilità. Si capisce poi in quali pietose condizioni si trovi un individuo, al quale manchino tutte e due le mani, che deve avere un aiuto per i bisogni più comuni e più intimi».


Ma per il soldato Zampini il prof. Isnardi, direttore dell’ospedale militare, grazie ai soldi giunti dalla sottoscrizione e dal finanziamento giunto dalla Cassa di risparmio «dopo varie prove poté far preparare dall'operaio vercellese Ramagni due arti coi quali il mutilato di ambe le mani può prendere una bottiglia con una mano artificiale, togliere il tappo, nascere il contenuto nel bicchiere, deporre la bottiglia, e coll'altra mano afferrare il bicchiere, portarlo alla bocca, bere e deporlo al suo posto. Così può usare cucchiaio e forchetta, abbottonarsi e sbottonasi la giacca, il gilè ed i pantaloni senza l’aiuto di alcuno. Nello stesso modo e con disinvoltura e precisione di movimenti, è capace di stringere la mano, di ritirare un libro dal tavolo, reggere una sedia (…) E la forza, essendo data dai potenti muscoli del braccio, si può durare molto a lavorare senza risentire stanchezza». Grato, quindi, per ciò che è stato fatto per lui il soldato aveva inviato una fotografia al giornale e alla città che tanto avevano fatto per lui e per la sua salute. E il giornale la pubblica, allegando i complimenti al professor Isnardi e soprattutto all’ortopedico Ramagni, costruttore di un apparecchio “semplicissimo” e, soprattutto, servibile. 

giovedì 17 marzo 2016

Il calmiere sul prezzo del pane



Le discussioni più accese del periodo estivo furono quelle relative al prezzo del pane. Questo problema, che colpiva tutti gli strati della popolazione, era particolarmente sentito da ogni parte politica, che chiedeva l’intervento del governo centrale per un calmiere sui prezzi dei generi di prima necessità. Nonostante i calmieri già esistenti dal 1914, infatti, il prezzo di grano e pane era costantemente cresciuto, soprattutto dopo l’ingresso in guerra dell’Italia. Come abbiamo già scritto, il problema della carenza degli uomini per la mietitura aveva creato disagi e costi aggiuntivi, ma il problema più grave era quello creato dalle speculazioni che alcuni coltivatori e mugnai facevano, razionando il grano per avere maggiori guadagni. La giunta comunale più volte si appellò al parlamento perché volesse porre calmieri sui prezzi e perché chiarisse i prezzi e le quantità del grano importato dall’estero proprio per evitare il rischio di speculazioni. Il problema fu parzialmente risolto con l’emanazione di nuove leggi sul calmiere e grazie all’intervento del Consorzio Granario Provinciale che si fece distributore ufficiale di grani e farine per la provincia.
Concerie e calzaturifici per l’esercito
Un Regio decreto ordinò che le concerie e i calzaturifici aumentassero la produzione di calzature, in particolare di scarponi, per le forniture militari. Si chiedeva di produrre tutto il possibile per andare incontro alle pressanti esigenze del Regio esercito, che non riusciva a sopperire nemmeno grazie alle forniture portate dagli stessi richiamati.

Il primo morto all’ospedale di Biella
Col passare delle settimane l’ospedale militare di Biella iniziò a svuotarsi per le avvenute guarigioni dei soldati, che furono, quindi, reinviati al fronte. Ma il ricambio era continuo e nonostante molti tornassero a combattere altrettanti ne prendevano il posto, sempre accolti da grandi segni di affetto da tutta la popolazione. Segnaliamo il nome del primo deceduto dopo il ricovero nell’ospedale cittadino: Camillo Marzarino, alpino di 50 anni, originario di Asti. Giunto dal fronte con gravi ferite al braccio, si spense nell’ospedale e tutte le autorità cittadine parteciparono ai funerali e al cordoglio del primo caduto per la guerra in terra biellese. Nei giorni successivi il vescovo di Biella e l’Arcivescovo di Vercelli fecero visita ai malati ricoverati portando parole di conforto.
La guerra al cinema
Il Cinema Edison di Biella ospitò “la grandiosa pellicola” documentario dal titolo La guerra Europea, con immagini prese “dal vero, quindi interessantissima”.  I 73 quadri che compongono la pellicola erano filmati in tutti i teatri bellici europei, dalla Germania alla Russia, dal Belgio alla Serbia, dall’Austria all’Italia. Uno dei punti più rimarchevoli del documentario erano gli effetti dei colpi di mortaio da 420 nelle città di Liegi ed Anversa. Queste immagini erano rese ancor più vivide dall’esposizione di uno di questi proiettili da 420 mm nella vetrina di un negozio di via Umberto (oggi via Italia) per volere della Direzione del Cinema Edison stesso.

Da il Biellese del 24 novembre 2015

martedì 10 novembre 2015

La città di Vercelli si mobilita per il soldato Zampini

Con l'arrivo nella città di Vercelli dell’ospedale militare, giungono in città i primi colpiti dalla guerra, soldati feriti e mutilati mandati via dal fronte e portati nelle retrovie a curarsi. Molti di questi soldati versano in condizioni critiche  o con mutilazioni gravi, tra questi a raccogliere la simpatia di gran parte dei cittadini vercellesi è il soldato Felice Zampini.
Una foto di Felice Zampini e del padre tratto dalla Sesia

Felice Zampini è un soldato romano, originario di Gallese in provincia di Roma e giunto a Vercelli agli inizi di settembre, e ricoverato all'ospedale militare poiché in combattimento ha perso entrambe le mani ed è quindi «in attesa dell’applicazione delle mani artificiali»(La Sesia, 25 settembre ’15) . Egli è un soldato «doppiamente valoroso, per il coraggio spiegato nella guerra di Libia ed in quella attuale di redenzione delle terre nostre soggette all’Austria, e per l’eroica rassegnazione con cui ha sopportato l’amputazione di entrambe le mani». La sua condizione di grave mutilazione attira le simpatie di tutta la città e del giornale La Sesia, che decide di aprire una sottoscrizione pubblica a suo favore per aiutare lui e la sua famiglia in vista anche dei tempi difficili che li attendono. Iniziano quindi a giungere alla redazione del giornale La Sesia i primi soldi provenienti dalle donazioni dei cittadini vercellesi. Il gesto commuove molto la famiglia del soldato romano tanto che la moglie, Sestilia Zampini, scrive al giornale per ringraziare tutti della generosità. La lettera, datata 11 settembre 1915, viene pubblicata il 14 settembre sulla prima pagina della Sesia. «Non ho parole sufficienti – scrive la donna- a ringraziare la S.V. quanto merita per quel che ha fatto a pro’ di mio marito (…). Immane è stata la sventura, giacché vedere un giovane di 25 anni privo di ambo le mani quando arride la primavera della vita, è la cosa più orrenda e dolorosa che mente umana possa concepire (…) conforto è per me il pensare, che questo sacrifizio è dovuto alla gran Madre, la nostra patria Italia, per la quale è sommo decoro ai suoi figli valorosi versare tutto il loro sangue» (La Sesia, 14 settembre ’15).



Soldati ferita in attesa di aiuti (fonte www.14-18.it)
La sottoscrizione a favore del soldato Zampini registra uno straordinario successo, tanto che già il venerdì successivo il giornale può annunciare di essere prossimo alle 1.500 lire raccolte. «Nessuno può certamente, non che rammaricare il fatto, meravigliarsi di questo slancio di pietà per un caso raccapricciante, che resterà forse unico nella storia di questa guerra e di simpatia per  una semplice e buona donna del popolo» (La Sesia, 17 settembre ’15). Il successo dell’appello porta il giornale a pensare che «si potrebbe adeguatamente soccorrere anche gli altri mutilati che si trovano nel nostro Ospedale militare pure riservando allo Zampini il grosso del capitale raccolto per lui e nel suo nome».  Dopo aver parlato della possibilità sia con il direttore tecnico dell’ospedale militare, il professor Isnardi, e con il soldato Zampini stesso, il giornale decide di dare seguito alla sua idea, in modo che «nessuna nube, sia pur lieve, di gelosia, offuscherà la bellezza confortante di un gentile atto di generosità della Cittadinanza vercellese».

giovedì 13 agosto 2015

Volontari nell'esercito e nella CRI: la lettera di Salandra e gli aiuti.



Popolazione in armi e nella CRI
Fin dai primi giorni di guerra giunsero alla Croce Rossa numerose offerte di aiuto da parte di donne e uomini che volevano contribuire allo sforzo bellico, pur non trovandosi al fronte.
L’“arruolamento” come volontari della Croce Rossa era, però, possibile solo per coloro che avevano effettuato un corso di medicazione e disinfezione con relativo diploma, corso che a Biella non poté essere tenuto nel periodo prebellico. Ciò rese necessario rimandare a tempo indeterminato l’effettiva collaborazione della popolazione civile con la CRI.
Si comunicava, inoltre, che le autorità militari avevano individuato immediatamente i Santuari di Oropa, Graglia e San Giovanni d’Andorno, unitamente ad alcuni edifici cittadini, come possibili ricoveri e futuri ospedali militari, cosa da lì a poco avverrà per il seminario vescovile di Biella (oggetto di un futuro nostro articolo).
Naturalmente, oltre ad offrire strutture adeguate, Biella auspicava di poter offrire un corpo di infermieri, anche per non trovarsi “in una deplorevole inferiorità di fronte ad altre regioni”.
È davvero rimarchevole come l’intera popolazione civile si sentisse spinta, fin dai primi giorni di guerra, ad aiutare il Paese coinvolto nello sforzo bellico, in ogni modo possibile, anche con intenti di solidarietà e non solo con l’effettiva partecipazione alle azioni militari.
La lettera di Salandra
Proprio il gran numero di volontari che si riversarono nei centri di arruolamento spinse il 29 maggio il Presidente del Consiglio Salandra a scrivere una lettera indirizzata alla popolazione tutta, la quale affermava che al momento non erano richieste, e auspicava non fossero necessarie neanche in futuro, nuove leve supplementari a quelle di legge.
Salandra non si limitò a parlare della mobilitazione militare, ma incluse nella sua lettera anche l’assistenza alle famiglie dei soldati, invitando alla formazione di Comitati locali che provvedessero all’aiuto dei bisognosi, ricordando che “NESSUN CITTADINO CHE PUO’ DARE QUALCHE SOCCORSO DI DENARO, DI OGGETTI, DI OPERA, VI SI DEVE RIFIUTARE”.
Aiuti finanziari e materiali
Proprio in quest’ottica vanno visti i numerosi aiuti che gli industriali biellesi elargirono alle famiglie dei propri operai richiamati alle armi; analoga manifestazione di solidarietà da parte di donne e uomini, che non avrebbero avuto un diretto coinvolgimento bellico, fu la spontanea offerta della propria opera come crocerossine o infermieri.
Parallelamente, in quasi tutti i comuni si costituirono Comitati Pro famiglie bisognose dei richiamati per portare aiuti alle famiglie il cui “capo di casa” era sotto le armi, non solamente raccogliendo denaro, ma provvedendo anche alla fornitura di biancheria, indumenti, ecc. A queste spontanee donazioni si aggiunsero in alcuni casi anche azioni di aiuto intraprese dalle stesse amministrazioni comunali.

da il Biellese del 9 giugno 2015