martedì 17 novembre 2015

I primi profughi dall'Austria e dal Friuli



L’arrivo dei primi profughi a Biella
Pochi giorni dopo i primi feriti e ammalati, ricoverati in seminario, giunsero a Biella un centinaio di profughi “dalle terre irredente”. Giunsero alla stazione ferroviaria, furono registrati, e fu offerto loro il pranzo al Caffè della Stazione. Subito dopo furono trasferiti al Santuario di Oropa, che nei suoi ampi spazi era da tempo pronto ad accogliere i profughi ed i rifugiati. Tra di essi si contavano una ventina di bambini e circa trenta donne, quasi tutti triestini e goriziani, ma anche alcuni austriaci e una signora germanica con tre figli, che aveva il marito nell’esercito tedesco.
Qualcuno dichiarava subito, con cadenza veneta: “Desideriamo trovare una occupazione per essere sicuri de magnar tuti i dì.” Data questa ferma volontà di continuare ad esercitare il proprio mestiere, essi sarebbero stati presto impiegati nelle manifatture biellesi per andare a colmare i vuoti lasciati dai richiamati. La distribuzione dei profughi nelle aziende si auspicava fosse affidata al Comitato circondariale, che non si sarebbe dovuto occupare solo degli aiuti ai richiamati, ma fare “opera di buon patriottismo”, dimostrando agli irredenti che “l’Italia li sa e li vuole tutelare”.
La vita nelle terre irredente
Riportiamo una breve intervista ad uno dei profughi:
« -   Ero a Trieste dal 1892 ed ero diventato un triestino anch’io; visto che le cose si facevano brutte, ho passato, con la dichiarazione di guerra, la frontiera e mi sono costituito alle autorità italiane.
-          Ed ora?
-          Ora ho una figlia in Austria. Ha sposato un austriaco e da otto mesi è in Galizia. Per fortuna non hanno figli. Brutti momenti, figliolo mio benedetto, brutti momenti! E speriamo che la guerra termini presto. Se no, son guai.»
Il clero nelle terre irredente
Tra i profughi vi erano anche due sacerdoti della Valsugana. Uno di essi, intervistato, racconta come fosse difficile per il clero esercitare il proprio ministero per evitare ripercussioni su se stessi e sui propri cari in caso di aperta propaganda antiaustriaca o anti-italiana. Dai vertici della Chiesa, infatti, erano arrivate indicazioni di non fare politica, distinguendo tra i sentimenti personali (pare in gran parte per l’italianità) e la professione di tali sentimenti.
Il popolo, inoltre, “non vive di idealità politiche, vive di pane e si accontenta del pane” e quindi, nonostante le simpatie per l’Italia non sentiva il bisogno di sollevarsi in aperte rivolte.  L’intervistato ricorda come abbia predicato una sola volta, invitando a non odiare né gli austriaci, né gli italiani. Queste parole miti non devono, però, dare adito alle accuse che spesso si sentivano verso i cattolici e il clero per non aver organizzato sollevazioni o rivolte.
Propaganda e informazione
Oltre ad informare sulle condizioni dei rifugiati questi articoli servono a rinforzare la convinzione italiana della bontà della guerra, dato l’alto numero di italiani irrendenti e vogliosi di far parte del Regno savoiardo che viveva oltre confine.

Accuse ai cattolici

Insieme alle molte testimonianze di solidarietà, si diffusero, fin dai primi giorni di combattimenti, le accuse tra le varie forze politiche riguardo la responsabilità dell’ingresso in guerra; naturalmente lo scontro più acceso fu quello tra socialisti e cattolici.
Sulle pagine de Il Biellese troviamo risposte alle numerose accuse che “socialisti e massoni” rivolgevano dai propri organi di stampa ai cattolici “austriacanti”, e ai papi Pio X e Benedetto XV in particolare.
Taluni sostenevano che Papa Pio X avesse dato al Kaiser Guglielmo II 6 miliardi di lire perché egli iniziasse la guerra e che gli atteggiamenti  pacifisti del pontefice fossero farse volte a nascondere l’intima soddisfazione per un conflitto che doveva, secondo tale visione, eradicare il socialismo dall’Europa e dall’Italia in particolare.
Senza dilungarci su dove il Papa potesse aver preso tale somma di denaro e sul perché volesse a tutti costi la guerra possiamo notare come non ci fosse quartiere nella lotta ideologica e politica dell’epoca. Quasi ogni numero, infatti, riportava smentite alle varie accuse: le più eclatanti riguardavano il clero delle zone di confine, spesso accusato di non fare nulla per la causa italiana o di appoggiare apertamente gli austriaci. Riportiamo nell’immagine un piccolo e gustoso esempio della polemica politica e ideologica di quel periodo.

Da il Biellese del 1 e del 15 settembre 2015


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