L’arrivo dei primi
profughi a Biella
Pochi giorni dopo i primi feriti e ammalati, ricoverati in
seminario, giunsero a Biella un centinaio di profughi “dalle terre irredente”.
Giunsero alla stazione ferroviaria, furono registrati, e fu offerto loro il
pranzo al Caffè della Stazione. Subito dopo furono trasferiti al Santuario di
Oropa, che nei suoi ampi spazi era da tempo pronto ad accogliere i profughi ed
i rifugiati. Tra di essi si contavano una ventina di bambini e circa trenta
donne, quasi tutti triestini e goriziani, ma anche alcuni austriaci e una
signora germanica con tre figli, che aveva il marito nell’esercito tedesco.
Qualcuno dichiarava subito, con cadenza veneta: “Desideriamo
trovare una occupazione per essere sicuri de magnar tuti i dì.” Data questa
ferma volontà di continuare ad esercitare il proprio mestiere, essi sarebbero
stati presto impiegati nelle manifatture biellesi per andare a colmare i vuoti
lasciati dai richiamati. La distribuzione dei profughi nelle aziende si
auspicava fosse affidata al Comitato circondariale, che non si sarebbe dovuto
occupare solo degli aiuti ai richiamati, ma fare “opera di buon patriottismo”,
dimostrando agli irredenti che “l’Italia li sa e li vuole tutelare”.
La vita nelle terre
irredente
Riportiamo una breve intervista ad uno dei profughi:
« - Ero a Trieste dal 1892 ed ero
diventato un triestino anch’io; visto che le cose si facevano brutte, ho
passato, con la dichiarazione di guerra, la frontiera e mi sono costituito alle
autorità italiane.
-
Ed ora?
-
Ora ho una figlia in Austria. Ha sposato un
austriaco e da otto mesi è in Galizia. Per fortuna non hanno figli. Brutti
momenti, figliolo mio benedetto, brutti momenti! E speriamo che la guerra
termini presto. Se no, son guai.»
Il clero nelle terre
irredente
Tra i profughi vi erano anche due sacerdoti della Valsugana.
Uno di essi, intervistato, racconta come fosse difficile per il clero
esercitare il proprio ministero per evitare ripercussioni su se stessi e sui
propri cari in caso di aperta propaganda antiaustriaca o anti-italiana. Dai
vertici della Chiesa, infatti, erano arrivate indicazioni di non fare politica,
distinguendo tra i sentimenti personali (pare in gran parte per l’italianità) e
la professione di tali sentimenti.
Il popolo, inoltre, “non vive di idealità politiche, vive di
pane e si accontenta del pane” e quindi, nonostante le simpatie per l’Italia
non sentiva il bisogno di sollevarsi in aperte rivolte. L’intervistato ricorda come abbia predicato
una sola volta, invitando a non odiare né gli austriaci, né gli italiani.
Queste parole miti non devono, però, dare adito alle accuse che spesso si
sentivano verso i cattolici e il clero per non aver organizzato sollevazioni o
rivolte.
Propaganda e
informazione
Oltre ad informare sulle condizioni dei rifugiati questi
articoli servono a rinforzare la convinzione italiana della bontà della guerra,
dato l’alto numero di italiani irrendenti e vogliosi di far parte del Regno
savoiardo che viveva oltre confine.
Accuse ai cattolici
Insieme alle molte testimonianze di solidarietà, si
diffusero, fin dai primi giorni di combattimenti, le accuse tra le varie forze
politiche riguardo la responsabilità dell’ingresso in guerra; naturalmente lo
scontro più acceso fu quello tra socialisti e cattolici.
Sulle pagine de Il
Biellese troviamo risposte alle numerose accuse che “socialisti e massoni”
rivolgevano dai propri organi di stampa ai cattolici “austriacanti”, e ai papi
Pio X e Benedetto XV in particolare.
Taluni sostenevano che Papa Pio X avesse dato al Kaiser
Guglielmo II 6 miliardi di lire perché egli iniziasse la guerra e che gli
atteggiamenti pacifisti del pontefice
fossero farse volte a nascondere l’intima soddisfazione per un conflitto che
doveva, secondo tale visione, eradicare il socialismo dall’Europa e dall’Italia
in particolare.
Senza dilungarci su dove il Papa potesse aver preso tale
somma di denaro e sul perché volesse a tutti costi la guerra possiamo notare
come non ci fosse quartiere nella lotta ideologica e politica dell’epoca. Quasi
ogni numero, infatti, riportava smentite alle varie accuse: le più eclatanti
riguardavano il clero delle zone di confine, spesso accusato di non fare nulla
per la causa italiana o di appoggiare apertamente gli austriaci. Riportiamo
nell’immagine un piccolo e gustoso esempio della polemica politica e ideologica
di quel periodo.
Da il Biellese del 1 e del 15 settembre 2015
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