lunedì 20 luglio 2015

A favore di operai e schiavandari. I primi provvedimenti per far fronte alla guerra

Con l’avanzare della guerra si moltiplicano i provvedimenti presi al fine di tutelare e favorire i richiamati alle armi e soprattutto le loro famiglie, che molto spesso potevano contare solo sul lavoro di questi richiamati per sopravvivere. Il 7 giugno gli industriali vercellesi si riuniscono e, pur non riuscendo ad «adottare provvedimenti uniformi per tutte le aziende» (La Sesia 11 giugno ’15), redigono delle disposizioni direttive a cui tutte le aziende vercellesi saranno tenute a uniformarsi. Si dovrà, durante il periodo di guerra e finché l’attività industriale della ditta continua, «assicurare (…) la conservazione del posto tanto agli impiegati che agli operai richiamati (…). Nel caso di diminuzione di lavoro preferire, ove difficoltà tecniche non vi ostino, la riduzione degli operai.(…) Accordare agli impiegati ed agli operai, od alle loro famiglie, quegli aiuti e quelle facilitazioni che le condizioni delle aziende possono comportare. (…) Fornire, ove sia possibile e di preferenza, lavoro a persone appartenenti alle famiglie dei richiamati». (La Sesia 11 giugno’15). Il tutto allo scopo di restaurare, dopo le dure lotte degli anni precedenti, «il ricordo della mutua collaborazione nella vita industriale» (La Sesia, 11 giugno ’15).


Mondine 

Provvedimenti analoghi vengono presi dal Consiglio Direttivo dell’Associazione fra gli Agricoltori del Vercellese nella seduta del 25 maggio a favore di coloro che La Risaia chiama gli “schiavandari”. Chi sono gli schiavandari? Si trattava di lavoratori agricoli che lavoravano con un salario fisso e contratti di carattere annuale. Contratti però che vincolavano questi agricoltori al loro datore di lavoro in modo quasi “servile”. Il datore di lavoro aveva la facoltà di utilizzarli per qualsiasi mansione, licenziarli in caso di disobbedienza (e in questo caso l’agricoltore rischiava di perdere la propria casa e ciò che produceva per il proprio sostentamento) e non pagarli se non avessero compiuto l’intero servizio “in modo lodevole”. Il tutto con pochissimi diritti, visto che all’agricoltore erano concessi solo 3 giorni di licenza e 12 giorni di malattia all'anno (e non nei periodi di lavoro più intensi). La Risaia aveva già chiesto nelle edizioni precedenti (il 19 maggio) di provvedere anche a questi lavoratori e quando l’Associazione approva i primi aiuti se ne intesta idealmente il merito (nonostante La Sesia affermi che in realtà la richiesta è arrivata nell'edizione del 29 e quindi quando l’Associazione aveva preso le decisioni autonomamente). Quali sono i provvedimenti presi? L’Associazione raccomanda ai propri soci «che siano conservati il posto, il contratto e la casa del salariato capo famiglia richiamato alle armi. Che la famiglia dello stesso richiamato continui a godere dell’alloggio occupato. Che riceva il raccolto della campagna alle condizioni in corso e tutte le somministrazioni mensili o annuali come se il capo famiglia fosse presente al lavoro (e questi provvedimenti mostrano chiaramente il legame quasi feudale tra padrone e agricoltore da cui derivava il nome di “schiavandari”). Che resti invece sospeso il puro salario in danaro, in considerazione che lo Stato sussidia direttamente le famiglie dei richiamati e perché d’altra parte l’agricoltore è gravato dalla spesa anche della sostituzione di mano d’opera» (La Risaia 5 giugno’15). Con l’inizio della guerra, quindi, sembra che anche le diatribe di carattere sociale si spengano in risposta all'appello di unità patriottica lanciata dal sindaco Piero Lucca e dal deputato socialista Modesto Cugnolio.

Nessun commento:

Posta un commento