Con
l’avanzare della guerra si moltiplicano i provvedimenti presi al fine di
tutelare e favorire i richiamati alle armi e soprattutto le loro famiglie, che
molto spesso potevano contare solo sul lavoro di questi richiamati per
sopravvivere. Il 7 giugno gli industriali vercellesi si riuniscono e, pur non
riuscendo ad «adottare provvedimenti uniformi per tutte le aziende» (La Sesia 11 giugno ’15), redigono delle
disposizioni direttive a cui tutte le aziende vercellesi saranno tenute a
uniformarsi. Si dovrà, durante il periodo di guerra e finché l’attività
industriale della ditta continua, «assicurare (…) la conservazione del posto
tanto agli impiegati che agli operai richiamati (…). Nel caso di diminuzione di
lavoro preferire, ove difficoltà tecniche non vi ostino, la riduzione degli
operai.(…) Accordare agli impiegati ed agli operai, od alle loro famiglie,
quegli aiuti e quelle facilitazioni che le condizioni delle aziende possono
comportare. (…) Fornire, ove sia possibile e di preferenza, lavoro a persone
appartenenti alle famiglie dei richiamati». (La Sesia 11 giugno’15). Il tutto allo scopo di restaurare, dopo le
dure lotte degli anni precedenti, «il ricordo della mutua collaborazione nella
vita industriale» (La Sesia, 11
giugno ’15).
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Provvedimenti
analoghi vengono presi dal Consiglio Direttivo dell’Associazione fra gli
Agricoltori del Vercellese nella seduta del 25 maggio a favore di coloro che La Risaia chiama gli “schiavandari”. Chi
sono gli schiavandari? Si trattava di lavoratori agricoli che lavoravano con un
salario fisso e contratti di carattere annuale. Contratti però che vincolavano
questi agricoltori al loro datore di lavoro in modo quasi “servile”. Il datore
di lavoro aveva la facoltà di utilizzarli per qualsiasi mansione, licenziarli in caso di
disobbedienza (e in questo caso l’agricoltore rischiava di perdere la propria
casa e ciò che produceva per il proprio sostentamento) e non pagarli se non
avessero compiuto l’intero servizio “in modo lodevole”. Il tutto con pochissimi
diritti, visto che all’agricoltore erano concessi solo 3 giorni di licenza e 12
giorni di malattia all'anno (e non nei periodi di lavoro più intensi). La Risaia aveva già chiesto nelle
edizioni precedenti (il 19 maggio) di provvedere anche a questi lavoratori e
quando l’Associazione approva i primi aiuti se ne intesta idealmente il merito (nonostante
La Sesia affermi che in realtà la
richiesta è arrivata nell'edizione del 29 e quindi quando l’Associazione aveva preso le decisioni autonomamente). Quali sono i provvedimenti presi? L’Associazione
raccomanda ai propri soci «che siano conservati il posto, il contratto e la
casa del salariato capo famiglia richiamato alle armi. Che la famiglia dello
stesso richiamato continui a godere dell’alloggio occupato. Che riceva il
raccolto della campagna alle condizioni in corso e tutte le somministrazioni
mensili o annuali come se il capo famiglia fosse presente al lavoro (e questi
provvedimenti mostrano chiaramente il legame quasi feudale tra padrone e
agricoltore da cui derivava il nome di “schiavandari”). Che
resti invece sospeso il puro salario in danaro, in considerazione che lo Stato
sussidia direttamente le famiglie dei richiamati e perché d’altra parte
l’agricoltore è gravato dalla spesa anche della sostituzione di mano d’opera» (La Risaia 5 giugno’15). Con l’inizio
della guerra, quindi, sembra che anche le diatribe di carattere sociale si
spengano in risposta all'appello di unità patriottica lanciata dal sindaco
Piero Lucca e dal deputato socialista Modesto Cugnolio.
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