Giunse notizia il 15 giugno del primo caduto biellese. Il
suo nome era Umberto Torrione e a darne notizia alla famiglia fu una lettera
proveniente dal 4° Reggimento Alpini presso cui il soldato era di stanza. L’uomo,
classe 1895, morì a causa di una scheggia di shrapnel ricevuta durante un
sanguinoso assalto alla baionetta sulla cima del Monte Nero. La scheggia ferì
il soldato senza ucciderlo subito: gli ultimi pensieri del Torrione furono per
la famiglia lontana.
Nei giorni successivi arrivarono altre notizie di caduti
biellesi.
Comoli Giovanni di Mongrando, classe 1888, di professione
era muratore. Già soldato nella Guerra di Libia, era in forze nel 4° Reggimento
Alpini e morì a causa delle ferite alla testa causate da proiettili
d’artiglieria.
Bonino Giacomo di Biella Vandorno (ma residente a Torino),
classe 1894, “bel giovanotto tarchiato” di professione cementatore. Anch’egli
morì a causa delle ferite riportate in battaglia.
Maiocchi Pietro di Biella fu vittima, come tutto il 4°
Reggimento Alpini, dell’offensiva austriaca sul Monte Nero. Morì per una ferita
al capo provocata da una scheggia, dopo vani tentativi di curarlo in un
ospedale da campo.
Giachetti Giuseppe Paolo di Tollegno, classe 1889, faceva il
decoratore a Milano, dove risiedeva. Anch’egli alpino, fu ferito ad una gamba
combattendo a Canale e morì qualche giorno dopo, nonostante le cure apportate
nell’ospedale militare.
Gilardino Raffaele di Cossila, Sottotenente degli Alpini.
Prima di andare al fronte egli aveva scritto ad un amico forti parole che
vogliamo qui riportare: “Per me quindi è facile immaginare che come ufficiale e
come alpino avrò grandi probabilità di andare, sia pur gloriosamente, nel
novero dei più. M’auguro che i tuoi auguri si avverino e che presto giunga il
tempo della pace, dopo però il compimento delle aspirazioni nazionali ed una
Italia più grande”.
La consapevolezza del rischio della guerra è mista allo
slancio nazionalistico, che caratterizza quasi tutti gli articoli dell’epoca.
Era, infatti, scopo della stampa non solo informare dell’andamento della
guerra, con la pubblicazione dei bollettini ufficiali e con le notizie relative
ai caduti e alle situazioni locali, ma anche fare da sostegno morale per la
popolazione non in armi che, forse più dei cari al fronte, poteva nutrire dubbi
sulle motivazioni generali del conflitto.
In quest’ottica vanno viste le lettere di alcuni soldati che
furono pubblicate nei giorni successivi, che rassicurano non sono sulle
condizioni di salute e di vita, ma che inneggiano all’Italia, alla conquista e
alle battaglie vinte. Riportiamo qualche stralcio di queste pittoresche
testimonianze: “una comitiva di soldati che si trovano al fronte, e che
combattono per la grandezza dell’Italia m’incaricano
di porgere a lei una saluto sincero ed affettuoso”; “Come descrivere le
accoglienze di queste buone popolazioni? Sono tutti pazzi di gioia”; “mi sono
confessato e comunicato e mi sento forte e unito al Dio delle vittorie.”
“La vittoria del Montenero ha del favoloso per le condizioni
avute. Il tempo sempre contrario: neve, acqua o nebbia: montagna altissima
coperta da trincee da conquistare e forza minore, come risulta dai morti,
feriti e prigionieri fatti….Austriaci, proprio, tolti gli ufficiali, non ce ne
sono! Io che li ho visti….sono tutti bosniaci, galiziani, ed ungheresi; tutti
affamati e mal messi che prendono con gioia qualche nostro pezzo vecchio di
pane che noi buttiamo via addirittura. Ve ne sono di tutte le età, dai 17 ai 40
anni; sono sul fronte da una quindicina di giorni reduci dai Carpazi e dicono che
i bersaglieri tirare molto bene nella testa, mentre che alpini molto forti
prenderli pel collo e gettarli giù. È un italiano poco corretto ma molto
espressivo….Tutto sommato, io mi trovo bene. Non ci resta che andare a Vienna
per vedere la barba di Francesco Giuseppe”.
da il Biellese del 4 agosto 2015
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