martedì 20 ottobre 2015

Umberto Torrione, il primo caduto biellese.



Giunse notizia il 15 giugno del primo caduto biellese. Il suo nome era Umberto Torrione e a darne notizia alla famiglia fu una lettera proveniente dal 4° Reggimento Alpini presso cui il soldato era di stanza. L’uomo, classe 1895, morì a causa di una scheggia di shrapnel ricevuta durante un sanguinoso assalto alla baionetta sulla cima del Monte Nero. La scheggia ferì il soldato senza ucciderlo subito: gli ultimi pensieri del Torrione furono per la famiglia lontana.
Nei giorni successivi arrivarono altre notizie di caduti biellesi.
Comoli Giovanni di Mongrando, classe 1888, di professione era muratore. Già soldato nella Guerra di Libia, era in forze nel 4° Reggimento Alpini e morì a causa delle ferite alla testa causate da proiettili d’artiglieria.
Bonino Giacomo di Biella Vandorno (ma residente a Torino), classe 1894, “bel giovanotto tarchiato” di professione cementatore. Anch’egli morì a causa delle ferite riportate in battaglia.
Maiocchi Pietro di Biella fu vittima, come tutto il 4° Reggimento Alpini, dell’offensiva austriaca sul Monte Nero. Morì per una ferita al capo provocata da una scheggia, dopo vani tentativi di curarlo in un ospedale da campo.
Giachetti Giuseppe Paolo di Tollegno, classe 1889, faceva il decoratore a Milano, dove risiedeva. Anch’egli alpino, fu ferito ad una gamba combattendo a Canale e morì qualche giorno dopo, nonostante le cure apportate nell’ospedale militare.
Gilardino Raffaele di Cossila, Sottotenente degli Alpini. Prima di andare al fronte egli aveva scritto ad un amico forti parole che vogliamo qui riportare: “Per me quindi è facile immaginare che come ufficiale e come alpino avrò grandi probabilità di andare, sia pur gloriosamente, nel novero dei più. M’auguro che i tuoi auguri si avverino e che presto giunga il tempo della pace, dopo però il compimento delle aspirazioni nazionali ed una Italia più grande”.
La consapevolezza del rischio della guerra è mista allo slancio nazionalistico, che caratterizza quasi tutti gli articoli dell’epoca. Era, infatti, scopo della stampa non solo informare dell’andamento della guerra, con la pubblicazione dei bollettini ufficiali e con le notizie relative ai caduti e alle situazioni locali, ma anche fare da sostegno morale per la popolazione non in armi che, forse più dei cari al fronte, poteva nutrire dubbi sulle motivazioni generali del conflitto.
In quest’ottica vanno viste le lettere di alcuni soldati che furono pubblicate nei giorni successivi, che rassicurano non sono sulle condizioni di salute e di vita, ma che inneggiano all’Italia, alla conquista e alle battaglie vinte. Riportiamo qualche stralcio di queste pittoresche testimonianze: “una comitiva di soldati che si trovano al fronte, e che combattono per la grandezza dell’Italia       m’incaricano di porgere a lei una saluto sincero ed affettuoso”; “Come descrivere le accoglienze di queste buone popolazioni? Sono tutti pazzi di gioia”; “mi sono confessato e comunicato e mi sento forte e unito al Dio delle vittorie.”



Riportiamo integralmente l’interessante lettera che Pierino Fasanotti, caporalmaggiore del 12° Bersaglieri, scrisse alla madre il 17-6-1915. Dalle sue parole capiamo come le condizioni fossero precarie e povere anche nell’esercito nemico.
“La vittoria del Montenero ha del favoloso per le condizioni avute. Il tempo sempre contrario: neve, acqua o nebbia: montagna altissima coperta da trincee da conquistare e forza minore, come risulta dai morti, feriti e prigionieri fatti….Austriaci, proprio, tolti gli ufficiali, non ce ne sono! Io che li ho visti….sono tutti bosniaci, galiziani, ed ungheresi; tutti affamati e mal messi che prendono con gioia qualche nostro pezzo vecchio di pane che noi buttiamo via addirittura. Ve ne sono di tutte le età, dai 17 ai 40 anni; sono sul fronte da una quindicina di giorni reduci dai Carpazi e dicono che i bersaglieri tirare molto bene nella testa, mentre che alpini molto forti prenderli pel collo e gettarli giù. È un italiano poco corretto ma molto espressivo….Tutto sommato, io mi trovo bene. Non ci resta che andare a Vienna per vedere la barba di Francesco Giuseppe”.

da il Biellese del 4 agosto 2015

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